Il licenziamento disposto sulla base dei dati raccolti grazie a un GPS, è legittimo?

IL LICENZIAMENTO DISPOSTO SULLA BASE DEI DATI RACCOLTI GRAZIE A UN GPS, È LEGITTIMO?

Avv. Silvia Borrini

Innanzitutto è doverosa una premessa. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), con sede a Strasburgo, è il solo organo autenticamente giudiziario istituito dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (Convenzione) e garantisce, in ultima istanza, il rispetto, da parte degli Stati contraenti, degli obblighi derivanti dalla Convenzione.

 

Alla CEDU si è rivolto il sig. Florindo de Almeida Vasconcelos Gramaxo (il “Ricorrente”), un informatore scientifico dipendente di una società (la “Società”), il quale ravvisava che l’installazione del sistema di geolocalizzazione sui veicoli aziendali -tra cui quello da lui utilizzato- non rispettasse la normativa nazionale (Portogallo) in tema di protezione dei dati e che, parimenti, il trattamento dei dati così raccolti non fosse legittimo.

 

Per tale motivo, nell’ottobre 2011, il Ricorrente promuoveva un ricorso avanti alla Commissione Nazionale per la Protezione dei Dati (Comissão Nacional de Protecção de Dados – “CNPD”). Quest’ultima, con risoluzione del settembre 2013, ha ritenuto non sussistessero violazioni, da parte della Società, delle norme nazionali in tema di protezione dei dati e, quindi, ha archiviato il reclamo proposto dal Ricorrente. La CNPD aveva, infatti, osservato che (i) la Società aveva notificato al Ricorrente l’installazione del sistema contestato (in conformità con gli articoli 27 e 28 § 1 della legge sulla protezione dei dati personali) e che (ii) il trattamento dei dati in questione era iniziato solo dopo tale data. La decisione veniva impugnata da quest’ultimo.

 

Il licenziamento

 

Parallelamente, poco tempo dopo, il Ricorrente veniva notiziato dell’avvio di un procedimento disciplinare promosso dalla Società a suo carico, a mezzo del quale gli venivano contestate diverse condotte alla luce dei dati raccolti dal GPS installato sul veicolo. Il procedimento disciplinare si concludeva nel settembre del 2014 con il licenziamento del Ricorrente, il quale impugnava il provvedimento avanti alla Camera del lavoro del Tribunale di Vila Real assumendo la illegittimità del trattamento dei dati raccolti dal GPS e, per l’effetto, chiedeva, tra l’altro, il reintegro del posto di lavoro.

 

In particolare, il Ricorrente sosteneva che l’uso di tale dispositivo per monitorare le prestazioni lavorative di un dipendente violava l’articolo 20 del Codice del Lavoro e che, inoltre, il trattamento dei dati provenienti da tali dispositivi non era stato autorizzato dalla CNPD. Egli riteneva, inoltre, che l’installazione di un sistema GPS non fosse essenziale per gli scopi del suo datore di lavoro: il monitoraggio della sua produttività avrebbe potuto essere ottenuto con altri mezzi.

 

Con la sentenza del 3 luglio 2015, il Tribunale di Vila Real ha concluso che il licenziamento era giustificato sia in quanto (i) è stato accertato che il Ricorrente fosse stato informato che ogni veicolo aziendale a lui assegnato sarebbe stato dotato di un GPS, controllato dalla Società ed era, altresì, a conoscenza del tipo di dati che sarebbero stati raccolti; sia in quanto (ii) il dispositivo GPS è un mezzo di controllo legale e l’uso dello stesso da parte della Società non rientra nell’ambito della sorveglianza a distanza e non viola la privacy o la dignità umana del Ricorrente. Pertanto, i dati raccolti da questo dispositivo erano da ritenersi validi e giustificano l’imputazione dei fatti che sono stati descritti nella nota sulla cattiva condotta accertata al dipendente.

 

La Corte d’appello di Guimarães, destinataria dell’impugnazione promossa dal Ricorrente, con sentenza del marzo 2016, confermava la pronuncia del Tribunale di Vila Real ritenendo che l’uso del GPS per conoscere i chilometri percorsi non rientrasse nel controllo delle prestazioni professionali ai sensi degli articoli 20 e 21 del Codice del lavoro e che era, quindi, lecito. Infatti, siccome il Ricorrente non aveva rendicontato i chilometri che aveva percorso e, anzi, aveva interferito con il funzionamento del dispositivo GPS installato nel suo veicolo (impedendo la corretta trasmissione dei dati di geolocalizzazione), aveva violato il dovere di lealtà verso il proprio datore di lavoro. Per la Corte d’appello, tale comportamento ha comportato la violazione del vincolo fiduciario tale da giustificare la risoluzione del rapporto di lavoro.

 

La sentenza CEDU n. 26968/2016

 

Il Ricorrente proponeva ricorso avanti la CEDU contro la Repubblica portoghese (Stato) affinché fosse accertato che l’elaborazione dei dati di geolocalizzazione ottenuti dal sistema GPS installato sul suo veicolo aziendale e l’utilizzo di tali dati (al fine di giustificare il suo licenziamento), violavano il suo diritto al rispetto della sua vita privata. Egli invocava, a tal proposito, l’articolo 8 della Convenzione: 1. Ogni individuo ha diritto al rispetto della sua vita privata (…). 2. Vi può essere ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto solo nella misura in cui tale ingerenza è prescritta dalla legge e costituisce una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, la sicurezza pubblica, il benessere economico -della patria, la salvaguardia dell’ordine e la prevenzione dei reati, la tutela della salute o della morale, ovvero la tutela dei diritti e delle libertà altrui.

 

Ebbene, secondo il Ricorrente, lo Stato sarebbe venuto meno rispetto agli obblighi positivi di tutela del diritto alla vita privata, come garantito dalla Convenzione, non avendo adeguatamente utilizzando il margine di discrezionalità di cui dispone al fine di garantire il giusto equilibrio tra i diversi interessi.

 

A tal riguardo, la CEDU rileva che, all’epoca dei fatti, esisteva un quadro normativo a tutela del diritto alla vita privata dei dipendenti di società non pubbliche (il caso del Ricorrente) e che la legge sulla protezione dei dati personali portoghese (LPDP) prevedeva una serie di garanzie in materia di protezione dei dati, il cui mancato rispetto poteva essere sanzionato dalla CNPD che -si ricorda- nel caso in esame non aveva ravvisato invece alcuna violazione a tal proposito.

 

L’unica questione rispetto alla quale la CEDU viene, dunque, chiamata ad esprimersi è se i giudici interni abbiano garantito (o meno), nella ponderazione degli interessi in gioco tra (a) in primo luogo, il diritto del Ricorrente al rispetto della sua vita privata e, dall’altro, (b) il diritto della Società di controllare le spese risultanti dall’uso dei veicoli affidati ai suoi rappresentanti farmaceutici, il rispetto della Convenzione.

 

Anzitutto, la Corte rileva come i tribunali nazionali hanno ritenuto provato che il Ricorrente fosse stato informato che qualsiasi veicolo a lui fornito sarebbe stato dotato di un dispositivo GPS, tanto che risulta in atti che il Ricorrente ha firmato il documento con cui la Società avvisava i propri dipendenti dell’installazione del dispositivo, nonché le ragioni sottese a detto provvedimento (ovvero, il controllo dei chilometri percorsi dal veicolo nell’esercizio dell’attività lavorativa). Nell’informativa, tra l’altro, la Società aveva indicato che, in caso di incongruenze tra i dati chilometrici forniti dal GPS e le informazioni fornite dai dipendenti, poteva essere avviato un procedimento disciplinare. Pertanto, nulla è avvenuto all’oscuro del dipendente.

 

Inoltre, la CEDU rileva come la Corte di Appello di Guimarães, esaminando ai fini della decisione solo i dati di geolocalizzazione relativi alla distanza percorsa, abbia ridotto l’entità dell’intrusione nella vita privata del ricorrente a quanto strettamente necessario per lo scopo legittimo perseguito, vale a dire il controllo delle spese della Società. A ciò aggiungasi che la diffusione di tali informazioni è stata molto limitata: solo i responsabili dell’assegnazione e dell’approvazione delle visite e delle spese avevano accesso a tali dati di geolocalizzazione.

 

Da ciò, la CEDU ne deduce che la Corte d’appello di Guimarães ha correttamente soppesato nel dettaglio il diritto del ricorrente al rispetto della sua vita privata e il diritto del suo datore di lavoro a garantire il corretto funzionamento dell’impresa, tenendo conto dello scopo legittimo perseguito dalla società, vale a dire il diritto di controllarne le spese.

 

La CEDU, dunque, conclude affermando che le autorità nazionali portoghesi non sono venute meno al loro obbligo positivo di tutelare il diritto del ricorrente al rispetto della sua vita privata. Di conseguenza, non vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione e il licenziamento è da ritenersi legittimo.