Sostenibilità e PMI

SOSTENIBILITÀ E PMI

Avv. Annalisa Callarelli 

È di questi giorni l’approvazione, da parte del Parlamento Europeo, di una nuova Direttiva predisposta dalla Commissione UE e ora al vaglio del Parlamento Europeo per la sua approvazione definitiva.

 

Mi riferisco alla Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), la Direttiva sulla Rendicontazione della Sostenibilità Aziendale, destinata a sostituirsi alla Direttiva 2014/95/UE (Non-Financial Reporting Directive (NFRD) – recepita nel nostro ordinamento con il D.lgs. 254 del 30/12/2016), e portatrice di significative novità che lasciando intendere, in maniera non troppo velata, quali siano le prossime intenzioni del legislatore comunitario in tema di sostenibilità.

 

La nuova direttiva è, anzitutto, veicolo di regole più precise e complete al fine di migliorare e rendere maggiormente trasparente e fruibile anche per gli stakeholder l’informativa sulla sostenibilità (non più chiamata “Dichiarazione Non Finanziaria”, come faceva la Direttiva del 2014, bensì espressamente qualificata come “Rendicontazione della Sostenibilità”), colmando al contempo le lacune e i deficit della normativa previgente.

 

Ma non solo. La CSRD amplia significativamente la platea dei destinatari dell’obbligo di rendicontazione, estendendolo, secondo una precisa scaletta temporale che va dal 2024 al 2027,

 

a) alle imprese di grandi dimensioni, anche private, che abbiano più di 250 dipendenti e/o con uno stato patrimoniale superiore a 20 milioni e/o ricavi netti superiori a 40 milioni, e
b) alle PMI quotate, ricomprendendo sia le medie imprese che le piccole imprese.

 

La nuova direttiva si interessa anche delle PMI non quotate, intervenendo sulle linee guida per la redazione del bilancio di sostenibilità su base volontaria, a conferma, se ce ne fosse bisogno, del “trand” della normativa europea, volta a coinvolgere un numero sempre più elevato di interlocutori.

 

Le società non potranno, inoltre, più scegliere liberamente quale standard adottare nella redazione, a seconda dei casi, della rendicontazione o del bilancio di sostenibilità: l’Unione Europea si doterà infatti di propri standard che diverranno obbligatori per tutti.

 

Si tratta degli European Sustainibility Reporting Standards (ESRs), elaborati da l’European Financial Reporting Advisory Group (EFRAG), organismo che si occupa dei principi contabili a livello internazionale e braccio operativo dell’UE. Al momento sono stati elaborati 13 “indicatori di performance”, già divulgati in bozza quest’anno e pronti probabilmente a partire dall’anno 2023.

 

Ma ulteriori interventi e iniziative , comunitarie e internazionali, in tema di sostenibilità sono attese nel breve e medio periodo.

 

Una nuova visione di impresa

 

Grazie, infatti, a un susseguirsi di interventi normativi a livello internazionale, europeo e nazionale, stiamo assistendo a un autentico processo evolutivo che ha imposto il superamento della visione classica dell’azienda e dell’economia, da sempre basato su due parametri, il «capitale finanziario» e il «capitale produttivo».

 

Un modello che risultava incentrato esclusivamente sulla necessità di produrre sempre di più, a qualsiasi costo e, in particolare, a qualsiasi costo ambientale e sociale.

 

Un modello che ha “fatto acqua” da tutte le parti manifestando i suoi limiti e le sue criticità, in quanto le risorse da sfruttare sono limitate o esauribili o non rinnovabili e c’è limitata capacità dei sistemi ambientali di ricevere «rifiuti».

 

È stata, pertanto, acquisita progressiva consapevolezza del fatto che uno piano sostenibile e duraturo è possibile solo se l’organizzazione, la gestione e le strategie delle imprese sono basate, contestualmente, non solo sui classici fattori del «capitale finanziario» e del «capitale produttivo», ma anche su altre forme di capitale, parimenti indispensabili e che l’imprenditore deve considerare in una visione integrata e complessiva della realtà che amministra, quali:

 

– Il c.d. «capitale umano», guardando alle competenze, capacità ed esperienza delle persone impiegate nell’impresa, oltre alle relative motivazioni a innovare

– Il c.d. «capitale sociale e relazionale», considerando le relazioni all’interno di comunità, gruppi di stakeholder e altre reti, nonché la capacità di condividere informazioni

– Il c.d. «capitale naturale», valutando tutti i processi e le risorse ambientali, rinnovabili e non rinnovabili, che forniscono prodotti o servizi per il successo passato, presente e futuro dell’organizzazione

 

Il risultato oggi?

 

Lo stato di salute delle aziende viene valutato dagli operatori non solo in considerazione dei dati finanziati ed economici ma anche di ulteriori criteri che hanno come obiettivo quello di assicurare uno sviluppo sostenibile ed etico, considerando l’impatto su ambiente e territorio, aspetto sociale e di governance aziendale.

 

La sostenibilità appunto.

 

Perché anche le PMI devono diventare sostenibili?

 

L’impresa sostenibile è più competitiva.

 

Una società che si misuri con i c.d. parametri ESG (Environmental, Social e Governance) acquista, anzitutto, maggiore visibilità e accreditamento agli occhi dei clienti, finendo col migliorare la sua reputazione e il brand aziendale.

 

L’adozione da parte delle PMI di un bilancio di sostenibilità e, più in generale, di un approccio e visioni d’impresa attenti all’ambiente e al capitale umano sono, inoltre, già oggi requisito di accreditamento per partecipare a gare per l’aggiudicazione di lavori e per lavorare con le grandi realtà, che invece l’impegno alla rendicontazione sostenibile lo subiranno a breve e che, quindi, a loro volta, preferiscono confrontarsi con fornitori sostenibili.

 

Nonostante, poi, come visto, non vi sia alcun obbligo di rendicontazione per le piccole e medie imprese non quotate, la stessa costituirà a breve uno dei parametri per l’ottenimento di finanziamenti agevolati e, più in generale, per l’accesso al credito.

 

E ancora: optare per una visione integrata e sostenibile dell’attività può consentire di migliorare la pianificazione strategica aziendale e anticipare i cambiamenti, aumentando l’efficienza e l’efficacia dell’impresa, innovando i processi di produzione dei servizi e riducendo i costi operativi.

 

Non va poi dimenticata la maggiore attrattività di un’impresa sostenibile per gli investitori, che preferiranno senz’altro puntare su realtà innovative e proiettate verso il futuro anziché su operatori ancora aggrappati a una visione tradizionale e che, come visto, non funziona più.

 

E la lista di “pro” potrebbe continuare ancora per molto.

 

Operare in modo etico e sostenibile può quindi, con i dovuti accorgimenti e la necessaria pragmaticità, fare la differenza anche per le piccole realtà.

 

Sarà pertanto indispensabile adottare un modello di business che integri la sostenibilità nella gestione strategica aziendale, affinché la stessa costituisca oggetto di valutazione, discussione e reportistica sui tavoli dei CDA e venga considerata in sede di valutazione e gestione dei rischi d’impresa.

 

Una gestione responsabile dell’impresa diventerà infatti essenziale per la sua continuità e per il suo successo, garantendole una visione a lungo termine e offrendo gli strumenti per farsi trovare pronti alle prossime sfide.