Torniamo a parlare del D. Lgs. 231/2001: la responsabilità amministrativa dell’ente potrebbe non configurarsi nonostante l’assenza del modello di organizzazione e gestione. 

TORNIAMO A PARLARE DEL D. LGS. 231/2001: LA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA DELL’ENTE POTREBBE NON CONFIGURARSI NONOSTANTE L’ASSENZA DEL MODELLO DI ORGANIZZAZIONE E GESTIONE.

Avv. Silvia Borrini

Con due recenti pronunce, la Corte di Cassazione precisa che non è automatico che, in presenza di un illecito accertato e addebitabile alla persona fisica, debba essere –sic et simpliciter– riconosciuta anche la responsabilità dell’ente per il sol fatto di non aver predisposto il modello di organizzazione e gestione. Orientamento che si discosta dal precedente, più rigido, che riteneva che la mancata adozione del modello era bastevole di per sé a suffragare la responsabilità dell’ente, poiché mancava in radice un sistema che potesse costituire un parametro oggettivo di riferimento (cfr. Cass. 54640/2018).

 

 

Entriamo nel dettaglio.

 

 

Come è noto, la responsabilità amministrativa dell’impresa si configura quando il reato presupposto, commesso dalla persona fisica, è connesso a un interesse o a un vantaggio della società stessa. I criteri di imputazione oggettiva della responsabilità in esame (ex art. 5 D. Lgs. 231/2001) ricorrono, rispettivamente, il primo, quando la violazione della normativa ha come finalità il conseguimento (consapevole) di un risparmio di spesa per l’ente; il secondo, quando la violazione determina, anche solo potenzialmente, un vantaggio concreto per l’ente (cfr. Cass. 18413/2022).

 

 

Per l’effetto, poiché l’ente risponde per un fatto proprio e non per un fatto altrui, l’accertamento dovrà essere rivolto oltre al reato presupposto, alla “colpa di organizzazione” dell’ente e al nesso causale tra i due.

 

 

La colpa di organizzazione (assimilabile alla colpa, intesa quale violazione di regole cautelari) dà origine alla consapevolezza autonoma dell’ente, distinta anche se connessa, rispetto a quella della persona fisica (cfr. Cass. 6640/2022) e spetta al Giudice di Merito argomentare oltre che sulla responsabilità da reato della persona fisica inserita nell’organizzazione societaria, anche su quella da illecito amministrativo dell’ente.

 

 

Ciò posto, l’assenza, l’inidoneità o l’inefficiente attuazione del modello non sono ex se elementi costitutivi dell’illecito dell’ente. Infatti, è possibile, come nei due casi giunti in Cassazione e trattati nelle sentenze in esame, che l’imputabilità del reato presupposto non sia collegata a un interesse o a un vantaggio dell’ente e, conseguentemente, va esclusa la responsabilità amministrativa dell’impresa. Esclusione che, tuttavia, non comporta il venir meno della sussistenza delle violazioni ascritte all’imputato (cfr. Cass. 6640/2022).

 

 

Il principio, enunciato in entrambe le sentenze citate, si inserisce nel solco della non obbligatorietà (fino a oggi) dell’adozione del modello 231 (obbligatorio in Francia, per esempio). Ma, attenzione, ciò non deve fuorviare e non va dimenticato che sia, invece, in ogni caso prudente e/o conveniente per le imprese dotarsi di un efficiente modello organizzativo e di gestione in grado di controllare.

 

 

Anzi, in considerazione del contenuto del nuovo art. 2086 cod. civ. (introdotto dal D. Lgs. 14/2014 – Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza) che disciplina il dovere dell’imprenditore di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa stessa, il modello 231/2001 non solo risulterebbe sia uno “schermo” in caso di responsabilità amministrativa penale dell’ente, sia, al contempo, strumento per la gestione di una eventuale crisi dell’impresa stessa.